RECENSIONI: Il Canto di Kali, di Dan Simmons
Occorre una premessa.
Ritengo Dan Simmons uno degli scrittori di genere più importanti di sempre. I titoli che ho citato parlano da soli, ma a questi potremmo tranquillamente aggiungere "Danza Macabra" e "L'Estate della Paura" per fugare qualsiasi dubbio sulle capacità di questo autore e di quanto, per certi versi, queste siano state almeno in parte sottovalutate nelle decadi addietro.
Robe da matti, eh, considerando certe schifezze che vengono passate per robe di culto al giorno d'oggi.
Anche perché, già con "Il Canto di Kali", Simmons dimostrava dalla prima pagina (e sottolineo PRIMA) di essere un fottuto fuoriclasse. Un prologo fulminante e immaginifico, crudele e intriso di un cinismo fatalista da mozzare il fiato. Poetico ma brutale. Brutale come Calcutta, vera protagonista del romanzo: un mostro dalle migliaia di braccia, un abominio dalle viscere nere e corrotte, nelle quali il protagonista Robert Luczak si trascina alla maniera di una marionetta in balia di fili invisibili, alla ricerca di un poeta che dovrebbe essere morto e di un manoscritto che nemmeno dovrebbe esistere. Forse uno dei prologhi più belli e ficcanti di sempre, in ambito horror.
E il resto del libro non è da meno, eh. Si tratta di una discesa nell'oscurità. Lenta, inesorabile, asfissiante. Una discesa nell'oscurità che diventa anche una notevole disquisizione sul Male e sulla sua Origine. Perché da una parte c'è Il Male che Fanno gli Uomini, ma forse c'è anche qualcos'altro. Qualcosa di impalpabile ma proprio per questo di ancor più terribile e inquietante. Come è possibile che accadano certe cose? Come possono certe persone macchiarsi di crimini tanto orribili e brutali? Come può essere che certi luoghi paiano così carichi di energia negativa da distorcere i pensieri e le vite di chi ci gravita attorno (o cade all'interno)? Sono queste le domande che si pongono Dan Simmons/Robert Luczak, e sono tante le ipotesi che sciorina il protagonista del racconto durante la vicenda, dalle più semplici alle più astruse (buchi neri, geometrie non euclidee). Eppure, nessuna spiegazione è mai rassicurante, e qualsiasi teoria porta sempre ad altre domande.
E quindi, fra mostruosità estremamente terrene quali la miseria, il razzismo e o sfruttamento delle caste minori, si muovono mostruosità più antiche e abominevoli, che si nutrono di sangue e demandano sacrifici durante empi rituali che si consumano nell'oscurità di edifici fatiscenti.
Il ritmo è lento ma ipnotico, la vicenda si dipana in maniera inesorabile. Dan Simmons se ne fa poco dello Show Don't Tell, e infatti TELLA COME NON CI FOSSE UN DOMANI, ma lui lo sa fare come pochi altri, e la sua presa sul lettore si fa sempre più stretta e asfissiante. Come i protagonisti, il lettore si trova invischiato in eventi più grandi di lui, in perenne fame d'aria e in cerca di una verità che forse nemmeno esiste, o che più semplicemente è meglio che rimanga nascosta. Poi, d'improvviso, in quel movimento lento e sinuoso, improvvisi scoppi di violenza e di follia, fino a un finale amaro e indimenticabile.
A parte il destino orribile di Luczak, chiaro sin dalle prime pagine, ne "Il Canto di Kali" nulla è ciò che sembra, sogno e realtà si mescolano e verità e menzogne si fondono in un unico magma ribollente, effetto straniante amplificato dalla scelta di RACCONTARE più che di mostrare.
Scelta che si dimostra vincente, va riconosciuto.
Per questo, a fine lettura, l'odore di Calcutta continuerà a violarvi le narici, e il Canto di Kali faticherà a uscire dalla vostra mente.
DISCO DA ABBINARE: Rudra - Brahmavidya: Transcendental I, perché sì... insomma... l'avete vista la copertina no? L'avete letto il titolo? Direi che può bastare, o no? No? Ok, questo è uno dei migliori lavori della band di Singapore, uscito nel 2009 e secondo tassello della trilogia "Brahmavidya": il death/black oscuro, tagliente e a tratti epico dei Rudra fa da perfetta colonna sonora al viaggio infernale del protagonista della vicenda imbastita da Simmons. Provare per credere.
Commenti
Posta un commento